L’ultimo
romanzo di Tommaso Percivale, Più veloce del vento, Einaudi ragazzi, ci
permette di tornare a parlare di sogni davvero in grande stile.
Non
conoscevo la storia di Alfonsina Strada, figlia di contadini emiliani, che
sfidando le convenzioni sociali dell’epoca (siamo nei primi anni del 1900),
decide di rincorrere il sogno di diventare una ciclista professionista. Con
grande coraggio e determinazione Alfonsina si fa strada in un ambiente di soli
uomini, in uno sport che è tutto sudore e fatica, ma pedalare è l’unico modo che
ha per colmare quel buco, che sente
dentro quando pensa al suo futuro a Fossamarcia. Alfonsina vuole fare qualcosa
di più oltre a sposarsi ed avere figli e intraprenderà il suo personale cammino
verso la libertà. Una strada costellata di rinunce, di sudore e di cadute, ma
ogni volta Alfonsina è pronta a rimontare in sella, l’importante è continuare a
correre come il vento. Certo la libertà la pagherà a caro prezzo, non sarà
facile avere l’approvazione della famiglia e convivere con le pressioni sociali
di un mondo fondamentalmente machista. Alfonsina sarà la prima donna a correre
il giro d’Italia nel 1924 e quando salire in sella diventò troppo faticoso comprò
una moto Guzzi 500 rossa su cui pare non fosse raro vederla sfrecciare per le vie di
Milano.
Il
romanzo ha trovato subito un suo posto nelle bibliografie per l’estate e sono
sicura che toccherà le corde di molte delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi
che entreranno in connessione con una storia del passato, ma con un respiro molto
più contemporaneo di quello che si creda.
Abbiamo
ancora tanto bisogno di raccontare storie di grandi sogni. Sono tante le donne che
prima e dopo Alfonsina hanno rinunciato alle proprie aspirazioni ed hanno
riposto i loro sogni nel cassetto.
Mentre
leggevo il romanzo di Tommaso i miei pensieri sono andati alla nonna Maria,
venuta a mancare poco più di due anni fa. Aveva i capelli ricci e crespi come
quelli di Alfonsina e da giovane dicono che fosse un po’ una testa matta, sua
mamma la signora Fanny “una donna da cappello e non da pezzola” come l’ha
definita mia mamma, si dannava sempre per la figlia che era un po’ un
maschiaccio e non voleva portare il cappello, nemmeno quando diventò una
signorina. La famiglia della nonna era borghese ed agiata (il papà era un noto
psichiatra) e dopo gli studi magistrali, la nonna Maria avrebbe voluto
diventare insegnante di educazione fisica. Era un’atleta la nonna, giocava a
pallacanestro e spiccava nel tiro con il giavellotto. Ma il suo papà, il signor
Carlo, non le accordò le stesse possibilità che aveva offerto ai figli maschi.
Poi venne la guerra, il fidanzamento con il nonno e il suo sogno svanì con la
nuova vita da moglie e mamma. Quando, nella vecchiaia avanzata, la nonna Maria
aveva perso un po’ il senno, non faceva altro che parlare del suo passato
glorioso da atleta, ci mostrava le fotografie che la ritraevano fiera mentre
gareggiava. Ci ha raccontato fino allo sfinimento del sogno abbandonato. Chissà,
forse voleva che la sua storia fosse un monito, per le quattro nipoti femmine,
ad essere più determinate di quanto lo fosse stata lei.
Di
storie come quelle di Alfonsina non ce ne sono molte e ringraziamo Tommaso per
avercela raccontata, di storie come quelle della nonna Maria, invece ce ne sono
a bizzeffe e quello che abbiamo cercato di fare con il nostro progetto è stato allenarsi
a riflettere sui propri sogni, sulle proprie aspirazioni professionali e lo
abbiamo fatto grazie ai romanzi di Dahl, grazie alle storie degli imprenditori
ed imprenditrici di Ad occhi aperti e continueremo a farlo ogni volta
che leggeremo storie come quella di Alfonsina per ricordarci tutti, donne e
uomini, grandi e piccoli che “nessun sogno è troppo grande per essere inseguito”.
Elena