“… nella sospesa calma della stanza le parole
sgorgavano facilmente, formavano una frase armoniosa, poi un’altra: ma spesso,
quando facevo per ripeterle assieme, già avevo dimenticato la prima e allora
gli occhi mi si riempivano di lacrime, tremavo rabbiosa, e trattenevo il pianto
solo nel timore d’essere scoperta; non potevo confessare di aver perduto in me
quelle frasi che forse ad altri sarebbero apparse vuote e sconnesse. A me,
invece, sembravano incantevoli anche perché mi sollevavano un poco da
quell’incubo che avevo nel petto”.
Sono parole di Alba de Cèspedes, contenute in un
racconto che ho riletto in questi giorni sfogliando lo straordinario numero uno di "mercurio dei piccoli", rivista di critica sulla letteratura per l'infanzia edita dalla libreria Giannino Stoppani, nata nell'anno duemiladue.
È un racconto a cui non pensavo da un po' e che amo moltissimo: tanti anni fa, quando a Milano ho riordinato l’archivio
di questa straordinaria scrittrice, ho avuto la fortuna di conoscerlo leggendolo in versione dattiloscritta. In questo brano, l'autrice esprime con la delicatezza e
intensità che le sono consuete quanto sia difficile ascoltare la propria voce interiore e tradurre
l’esperienza della crescita con le parole giuste.
La piccola Alba, un giorno, decide di registrare le belle parole che le zampillano in testa così rapidamente, prende carta e matita dalla
scrivania e si accomoda in un divanetto di seta celeste, sotto la finestra:
“In fretta scrissi, con i miei caratteri ancora incerti
e approssimativi; e però scrivere non era faticoso come a scuola: i miei
pensieri disegnati sulla carta, sembravano uccellini chiusi in una rete. […]
Quando ebbi scritta l’ultima frase sul foglio strettino, soddisfatta, lo
guardai; compresi allora, dal modo nel quale le frasi erano disposte, che avevo
scritto una poesia”.
Quando si prova a lasciare traccia scritta del proprio
io, anche il foglio può incresparsi, produrre pieghe e onde che condizionano i
discorsi, rendendoli ancor più irregolari, sconnessi. Ma un tipo di scrittura
breve, epigrammatica, può aiutarci a restituire alle incerte parole
forma e sostanza, suono e colore.
Per questo, oggi, nel nuovo incontro di Diario di volo, ho scelto di organizzare
un primo appuntamento con la poesia. E’ un appuntamento al buio, con uno
straordinario strumento capace di mettere al centro la pienezza dell'io
narrante ed esprimere la totalità dell’esperienza. La poesia è un linguaggio in
grado di divenire totalmente autobiografico, favorendo un’armoniosa
riconciliazione tra la carta e la parola.
Dentro ogni poesia, ci dice Toni Mitton, c’è un passaggio segreto:
Tu forse non lo vedi
ma è indubbio che ci
sia.
C’è una piccola leva
dietro questa parola.
Afferrala deciso,
tirala una volta sola.
Si aprirà un varco su
una scala nascosta
Che scende giù in
basso…
Chissà dove porta?
Un buio d’inchiostro
avvolge le scale
Prendi una torcia,
potresti inciampare.
Quando trovi quel passaggio, quella porta che si apre con un lamento, e quando ancora incerta,
un po’ timorosa, decidi di entrare, ti aspetta
un universo stipato
di tutte le cose
un universo stipato
di tutte le cose
che hai mai sognato.
Il nostro appuntamento con la poesia, dunque, è il
passaggio attraverso una magica porta che ci aiuta ad accostarci a noi stesse, a
entrare in contatto con parti profonde di noi, è una chiave d’accesso a tutto
ciò che abbiamo vissuto, che è rimasto scritto dentro di noi e che adesso può
essere messo su carta.
Ma come si fa? Ci viene in aiuto Silvia Vecchini:
Si parla sottovoce, si
scrive come viene
si dice un poco, il
resto si trattiene.
E come scegliere cosa lasciar uscire? E’ ancora Silvia
che ci dà un’idea:
ci vuole un
apriscatole,
una chiave a stella,
poi basta una frase
e sei proprio tu, sei
quella.
Ogni cosa è
poesia e può raccontare pezzi tangibili di vita, ricordi di famiglia, momenti
d’essere. La voce interiore all’inizio può sembrare banale, ma poi lascia che
vediamo il suo bagaglio di preziose sfumature. Quando quella voce esce, si
trasforma in altro, si cristallizza e svela parti di noi.
Alba de Cèspedes, scrivendo la sua prima poesia, si
sente pallida e, insieme, ardente di febbre, irrequieta, debolissima; la testa
le ronza. “E’ una malattia grave” – pensa – “forse la morte”.
Ma l’incontro con
la poesia segna invece proprio il principio della sua vita, quella da
scrittrice: intensa e appassionata, la sua penna riempirà pagine in cui si
fonderanno esperienza vissuta e immaginario poetico.
Oggi, per le ragazze di casa Thevenin, quello con
la poesia è stato l'incontro con un efficace strumento per riconoscere di essere
ricche di cose da dire e raccontare, la scoperta di un mezzo per esprimere i bisogni, le
incertezze e le inquietudini di cui è colma la loro giovane età. Forse, chissà, la poesia potrà aiutarle nel percorso di crescita e comunque mi piace pensare e sperare che possa essere così: questo incontro al buio, del resto, era un rinnovato invito a ricercare ciascuna la propria strada, che magari è differente da quella cui l’ambiente sembrava
averle destinate.
Per me, l'incontro con la loro poesia, è stato
un privilegio impagabile.
Ilaria
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