lunedì 15 febbraio 2016

Con il nome fatti poesia, corpo che suoni



… senza nome uom non ci vive in terra;
sia buono, o reo, ma, come aperse gli occhi,
da' genitori suoi l'acquista in fronte. 
(Omero, Odissea, libro VIII) 

Il nome è identità, rappresenta prima di tutto le nostre origini. I genitori, scegliendo un nome, lasciano sui figli la prima propria consapevole, indelebile traccia: assegnano i nomi di antenati per tramandare la memoria familiare e rinsaldare antichi legami, a volte solo per un gusto personale, per la sua musicalità, altre, ancora, per il significato etimologico. Si ispirano a vecchie conoscenze, a personaggi di romanzi, storici o comunque famosi, cercano nei loro ricordi e nel loro immaginario e, quindi, proiettano nel nome desideri e aspettative per il futuro dei figli. 

Rievocare il momento della nascita e della scelta del proprio nome può significare ripercorrere la storia di un nucleo familiare e ricostruire le sue rappresentazioni interne. Marguerite Yourcenar - che si firma peraltro con uno pseudonimo anagrammando il suo vero cognome - in Care memorie (Einaudi, 1974) concentra in un nome di battesimo la storia e l’essenza della sua famiglia:

La piccola ricevette i nomi di Marguerite, in onore dell'amata governante tedesca che si era chiamata Margareta prima di diventare per tutti Mademoiselle Frãulein; di Antoinette, uno dei nomi, insieme ad Adrienne, della odiosa Noémi, poiché quest'ultimo sembrava decisamente fuori moda e un po' grottesco; di Jeanne, in onore di Jeanne l'Inferma ed anche di un'amica di Fernande che portava quel nome fra gli altri, e che era destinata ad aver una parte molto importante nella mia vita; di Marie, in onore di Colei che prega per noi, poveri peccatori in ogni momento e nell'ora della nostra morte; insieme a Ghislaine, nome assai diffuso nel diffuso nel nord della Francia e nel Belgio, dove San Ghislaine ha fama di proteggere dalle malattie dell'infanzia. Le rituali scatole di confetti erano state ordinate in precedenza, e per la consegna si aspettava soltanto il nome del bambino da scrivere in corsivo d’argento sul coperchio di cartone color crema ornato di una maternità di Fragonard. Qualche anno più tardi ho succhiato con aria pensosa quelle mandorle rivestite di zucchero, quelle pietruzze bianche, insieme dure e frabili, che provenivano dal mio battesimo.  

Il nome, suggerisce Roberto Piumini, rappresenta un primo momento intimo tra i genitori e il nuovo nato,


è come ti risposero
al primo strillo, il suono
in cui madre e padre ti avvolsero
appena fuori dal silenzio
ai risvegli soffiavano
nelle tue orecchie curiose.



Oggi a Casa Thevenin alcune delle ragazze hanno raccontato come sono stati scelti i nomi che portano: è stato recuperato qualche ricordo, è sbucata qualche tradizione, qualche storia familiare e anche speranze dei genitori. 

Siamo andate pure un po’ oltre l’evento battesimale e usando il dizionario dei nomi abbiamo indagato origini, significati, storia sociale e letteraria. Ci siamo chieste se quello che abbiamo trovato racconta qualcosa di quello che siamo, se quel nome parla davvero di noi. 

Gli spunti autobiografici offerti dal tema sono innumerevoli. Ci piace il nostro nome? Ci piacerebbe essere chiamati in un altro modo? Come e perché? Abbiamo soprannomi? È importante come ci chiamiamo? Non lo è per la Giulietta di Shakesperare, certa che non sia il nome a rendere perfetto Romeo:

che cos'è un nome?
Quella che chiamiamo rosa,
pur con un altro nome, conserverebbe lo stesso dolce profumo.
Dunque cambia nome, Romeo, e amiamoci tranquillamente.

Il nome però rappresenta il nostro ingresso all’interno della comunità e perciò è strettamente legato alla nostra rappresentazione sociale. In The Importance of Being Earnest Oscar Wilde ci svela che un nome può rivelarsi ingannevole e con uno straordinario gioco linguistico ci racconta la crisi di valori e i paradossi della società vittoriana - non diversa per certi aspetti alla nostra - in cui l’apparire si imponeva sull’essere.

E se il nome è identità, chi pronuncia il nostro nome? Con quale intensità e intenzione? Per dirci cosa? Il nome, dichiara ancora Piumini,

sei tu nei pensieri
di chi non ti ricorda faccia e voce.

Come viene usato il nostro nome? In quale circostanza? Per noi quanto conta per noi aderire alle convenzioni all'apparenza e alla forma? È più importante come siamo o come ci vedono gli altri? 

Nell’epoca dei social network, in cui pubblicamente e freneticamente condividiamo ed esibiamo pensieri, immagini ed emozioni, vale la pena ricordare Gianni Rodari, che tanto tempo fa raccomandava a chi stava crescendo di usare nome e firma con sobrietà:
E adesso che sai fare il tuo nome
in bella scrittura,
non avere premura
di metterlo dappertutto,
Il nome è una moneta preziosa:
per le cose da poco non la spendere,
per oro e per argento non la vendere,
tienila sempre da conto
ma per le cose grandi
a gettarla sii pronto.

Giocare sul proprio nome attraverso la scrittura autobiografica consente il riconoscimento della propria individualità, apre riflessioni su chi siamo, chi siamo stati, chi vogliamo diventare e quale traccia lasciare nel mondo.

Nel nostro diario di volo, il nome è diventato una stringa autobiografica che cambia forma e aspetto nella pagina, dando vita a suggestioni che possono essere rincorse, abbandonate, riprese, usate per fare capriole ed essere sviluppate.
Il nome, per queste ragazze in cerca del proprio destino, è diventato un altro strumento per riorganizzare contenuti e creare contenitori, da riempire a seconda delle proprie personali esperienze. Il nome è l’incipit della nostra storia, del romanzo che racconta la nostra vita.
Seguiamo, allora, i suggerimenti di Piumini, che ci invita a esplorare e a scrivere:


Prendi il tuo nome e scrivilo
come chi ha fame pone piano il pane
e spezzalo,
gustane il molle, e il duro e
gridalo e sgridalo e frugalo e rimbalzalo
come palla sul muro, come
sull'acqua pietra piatta. Con il nome
fatti poesia, corpo che suoni.

Giocando con le lettere, il nome allora diventa materiale, diventa oggetto: lama, aria, ramo, male, mela, sera, arte e cassa che risuona. 
Diventa azione: ricamare. Diventa numero: tre. Diventa elemento chimico: Radio, Tellurio, Einstenio.
Diventa corpo. Chi c’è, nascosto tra le lettere del nostro nome? 

Mi viene in mente che, in fondo, siamo come i gatti di T.S. Eliot, che hanno tre nomi: il primo è quello scelto per loro dai padroni,

usato quotidianamente, 
un nome come Pietro, Augusto, o come 
Alonzo, Clemente; 
come Vittorio o Gionata, oppure Giorgio o Giacomo 
Vaniglia – tutti nomi sensati per ogni esigenza corrente.
Ma se pensate che abbiano un suono più ameno,
nomi più fantasiosi si possono consigliare: 
qualcuno pertinente ai gentiluomini, 
altri più adatti invece alle signore: 
nomi come Platone o Admeto, Elettra 
o Filodemo – tutti nomi sensati a scopo familiare. 

Il secondo nome dei gatti è quello della dimensione sociale, con cui sono conosciuti nella comunità felina:

un nome 
che sia particolare, e peculiare, più dignitoso; 
come potrebbe, altrimenti, mantenere la coda 
perpendicolare, 
mettere in mostra i baffi o sentirsi orgoglioso? 

Ma è l’ultimo nome, quello misterioso e difficile da indovinare, che raccoglie la particolare, intensa, segreta essenza di ognuno. È 


un nome sottile,

e si tratta del nome che non indovinerete mai;

il nome che nessuna indagine umana può scoprire:

ma il gatto stesso lo sa, e non rivelerà mai,

quando vedete un gatto in profonda meditazione,

è sempre, sappiate, per la stessa ragione:

la sua mente è rapita in estatica contemplazione

del pensiero, del pensiero, del pensiero del suo nome:

il suo ineffabile effabile

effineffabile

profondo e inscrutabile singolo Nome.


Non vale anche per noi umani? Non è così per la nostra essenza? 
Le ragazze, oggi pomeriggio, silenziose, profondamente concentrate, come i gatti contemplavano le lettere che compongono i loro nomi, avvolte nella stringa, strette tra le sfaccettature segrete delle loro esistenze, anche quelle che a volte hanno creduto di non poter svelare. 

La poesia di Eliot è contenuta nella raccolta Il libro dei gatti tuttofare (Old Possum’s Book of Practical Cats), del 1939, dedicata ai nipoti, che ispirò anche il musical Cats. Una divertentissima galleria di gatti singolari di cui si raccontano il carattere, i sentimenti e le avventure. C’è chi è savio, c‘è chi è matto - spiegava il poeta nell’introduzione - ci sono i buoni, ci sono i cattivi, c’è chi è migliore, c’è chi è mal fatto, ma tutti sono adatti a descrizioni in versi. Proprio come ognuno di noi.

Ilaria

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